Tommaso Martini, presidente Slow Food Trentino Alto Adige
Marta Villa, antropologa culturale Università di Trento
Il laboratorio di sostenibilità nelle Terre Alte, cuori della biodiversità del Pianeta, mettendo in sinergia diverse soluzioni strategiche, può donare soluzioni, come lo ha sempre generosamente fatto, anche al resto dei territori, la pianura in particolare.
Il Pianeta è investito da una crisi climatica che è crisi globale, e prima di tutto è crisi del sistema novecentesco che pur nelle sue rivoluzionarie trasformazioni ha mostrato innumeri debolezze: rivoluzionarie nell’accezione semantica del termine, ossia meccanismi che modificano le visioni del mondo utilizzando tutti i mezzi possibili e condizionando il modus pensandi degli esseri umani. Alvi ci parla di seduzioni economiche del Faust, un personaggio puramente amorale inteso solo ad allargare con l’intrapresa il proprio gioco all’accumulo, la riduzione di tutto a valori mercantili, principi già in nuce nel codice civile napoleonico con l’esaltazione della proprietà privata individuale e l’attacco alla proprietà collettiva. Sedotto dalla fretta, irrefrenabile, dalla potenza ricreativa, è dominatore dell’economia che è divenuta cifra di qualsiasi ragionamento, soprattutto quello politico.
Troviamo lo stesso prepotente fascino quando Hegel parla del secondo livello del riconoscimento, quello del desiderio (spiegato dal filosofo Honneth, recentemente intervenuto a Trento): il soggetto soddisfa i propri bisogni approdando alla certezza di poter annichilire il resto della natura come si annienta un prodotto di propria proprietà. Questo stadio ha un insufficiente duplice aspetto: una fantasia di onnipotenza, che è, come stiamo osservando in questo momento storico, un’infantile chimera, da un lato induce l’uomo a pensarsi come produttore della realtà in modo totalizzante e dall’altro impedisce di percepirsi come un essere facente parte di un genere, di un gruppo, di un ecosistema.
Sono parole che devono farci riflettere! La crisi è poliedrica: necessità di soluzioni pensate non individualmente ma in rete per fare sì che si inneschi quella solidarietà cosciente, quello stare insieme in una società che riconosce l’importanza imprescindibile di ciascuno e delle proprie abilità che concorrono alla creazione di valori e obiettivi comuni. Lo sono le comunità alpine dei Domini collettivi con cui Slow Food ha aperto un dialogo proficuo per la tutela dei presidi alimentari, che non servono solo a conservare un prodotto, ma curano un territorio, luoghi dove le persone vivono, ambienti dove possono vedere riconosciuti i propri diritti sia come individui sia nelle formazioni sociali dove svolgono la propria personalità. La Costituzione italiana nei 12 Principi Fondamentali ha già delineato il percorso socio-culturale: il Popolo della Costituzione quando si tratta di scegliere e di andare sa benissimo cosa fare (La Storia siamo noi, F. De Gregori) a differenza del popolo della maggioranza, che invece arbitrariamente governa (Fioravanti).
Edgar Morin ci ha parlato di oasi di fraternità che devono essere intessute per resistere all’isolamento e alla “crudeltà” del mondo: le Terre Alte sono già un crogiolo di queste relazioni, dove è possibile sperimentare un modo alternativo di cooperare con gli altri esseri viventi all’interno di ecosfere interrelate l’una all’altra (Guattari). Le culture, il dialogo e gli scambi di buone idee e pratiche possono essere la possibilità che stiamo cercando per “r-esistere” alla crisi: gli ambienti interni e montani sono luoghi in incontro, ingegno, sapere diffuso, contaminazione, collaborazione collettiva.
Intercettare, come fa Slow Food, tutti gli attori dei sistemi locali del cibo dagli allevatori, agli agricoltori, dagli artigiani ai ristoratori e osti, fino al mondo dell’accoglienza e ai cittadini è una modalità per tentare di realizzare questo altro mondo. Le sfide che oggi coinvolgono i modelli di produzione, distribuzione e consumo del cibo sono epocali e ci coinvolgono tutti e vedono protagoniste le nostre comunità in grado di mantenere la montagna viva e abitata, tutelando la biodiversità, contrastando il dissesto idrogeologico, mitigando gli effetti della crisi climatica, prendendosi cura del paesaggio (anche come attrattore turistico), tramandando saperi e sapori.
Per farlo i Territori di Vita hanno bisogno di essere messi al centro sia dal punto di vista politico sia culturale. Questa azione deve partire dalle scuole, coinvolgere il mondo del terzo settore, la politica e i cittadini che, per districarsi nell’opacità delle filiere alimentari, hanno sempre più bisogno di essere consapevoli, di conoscere quelle virtuose per diventarne parte attiva e prendersene a loro volta cura, quell’amorevole atteggiamento che è importante ricordarsi anche domani: scegliere di votare e non chi votare è il primo atto politico per rimettere al centro le persone.
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