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Il grano saraceno di Terragnolo

Grazie a il T quotidiano ogni due settimane, Slow Food Trentino cura a partire dal 14 febbraio 2025 una rubrica sulla pagina Terra Madre. Questo articolo è stato pubblicato venerdì 24 ottobre 2025.


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Risalendo la Valle di Terragnolo nei mesi estivi, qua e là si aprono piccoli campi ricoperti di fioriture bianche. In ottobre, al loro posto, compaiono delle strane figure dalle sfumature calde dell’autunno, a restituirci un’istantanea del passato: sono le “donete”, le fasce di spighe di grano saraceno stese ad essiccare, raccolte in modo da ricordare la sagoma di una figura femminile con la sua lunga gonna.


Anche quest’anno la raccolta del grano saraceno di Terragnolo si avvia alla conclusione: «Dopo tre anni di difficoltà e preoccupazione – racconta Massimo Stoffella, presidente dell’associazione Terragnolo Che Conta – il raccolto è finalmente tornato nella media. Possiamo quindi garantire la capacità riproduttiva e continuare a preservare il grano saraceno di Terragnolo». Il gruppo dei “Saraceni” è composto da una quindicina di appassionati. Nessuno di loro è contadino di professione, ma ciascuno mette a disposizione i propri appezzamenti e il proprio tempo. Con un continuo confronto con esperti e agronomi, hanno fatto rinascere la coltura di questo pseudocereale che nei secoli ha caratterizzato paesaggi e abitudini alimentari della valle. Lentamente la superficie coltivata sta aumentando: oggi si estende su circa mezzo ettaro, suddiviso in una ventina di piccoli campi, dalla frazione Baisi fino a Potrich, a quota 1.100 metri. 

«Grazie ai contributi provinciali degli scorsi anni, purtroppo oggi interrotti - prosegue Massimo - siamo riusciti a ripristinare alcuni terrazzamenti. Terragnolo è il comune trentino con la maggior estensione lineare di muretti a secco. Ma un secolo di abbandono della montagna ha ridotto al 15% la popolazione della valle e al 13% l’utilizzo dei terrazzamenti. È un patrimonio culturale, paesaggistico e di biodiversità che va preservato, e in questo il grano saraceno ha un ruolo centrale».

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Le quantità non permettono la commercializzazione: si tratta di produzione per autoconsumo e per garantire la realizzazione delle ricette tradizionali, come il fanzelto, durante feste e attività della valle. Il grano saraceno non genera oggi un valore economico diretto, « la bellezza del campo fiorito – conclude Massimo - con tante api e insetti impollinatori che ci ronzano attorno, ci ripaga di ogni fatica. Ci fa sentire parte della nostra comunità e custodi della storia, mettendoci in connessione con il passato della nostra valle, spronandoci a pensare al suo futuro».

Il trentenne Riccardo Scrinzi, tornato a vivere a Terragnolo dopo la laurea, insieme a Chiara Peterlini ha seguito la nascita del Presidio che l’associazione Slow Food ha dedicato al prodotto.  «In una valle come la nostra, ogni iniziativa a sostegno dell’agricoltura è fondamentale per salvaguardare il territorio e la sua bellezza. Coltivazioni come il grano saraceno, insieme ad altri percorsi agroecologici, possono dare nuova spinta alla popolazione, contrastare l’abbandono e il rimboschimento, e mantenere vivo il patrimonio agricolo e paesaggistico locale. Io, ad esempio, da qualche anno non ho la possibilità di coltivare saraceno, così attorno alla mia casa di Dieneri ho piantato luppolo con il quale il Birrificio Barbaforte di Folgaria realizza una birra utilizzando esclusivamente questa materia prima locale».

 

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Secondo la tradizione popolare, la coltura del grano saraceno risale al XVI secolo, mentre le fonti storiche ufficiali la collocano in valle nel corso dell’Ottocento, dove ha trovato un ambiente ideale. È andata poi svanendo in seguito alle Guerre mondiali e allo spopolamento montano della seconda metà del Novecento. Storicamente, il grano saraceno ha rappresentato per gli agricoltori una coltura intercalare: con il suo ciclo di crescita molto breve costituiva infatti un raccolto aggiuntivo e quindi, specialmente in una logica di agricoltura di sussistenza, una possibilità in più per sfamare la propria famiglia. Il saraceno è particolarmente adatto ai territori di media montagna, essendo in grado di resistere al freddo e per il suo bisogno di un apporto regolare di acqua, ma è facile il rischio di allettamento e richiede investimenti in recinzioni per proteggerlo dagli ungulati. 

Nel 2020 i Saraceni hanno creato un laboratorio acquistando un mulino grazie a un’operazione di crowdfunding. Ogni anno, con nuovi investimenti, il laboratorio si è modernizzato. L’auspicio è che presto possa unirsi al gruppo un’azienda agricola ben strutturata, capace di coltivare superfici più ampie. Per questo i Saraceni stanno raccogliendo la disponibilità dei privati a mettere a disposizione terreni incolti, superando il problema del frazionamento fondiario.

Anche se attualmente non raggiunge il mercato, il grano saraceno è un Presidio capace di generare valori connessi a logiche diverse da quelle commerciali. Valori dei quali i territori meno centrali, come la Valle di Terragnolo, hanno grande bisogno.  Custodisce e rinnova il dialogo tra generazioni, crea occasioni di convivialità in cui la comunità può ritrovarsi e presentarsi come luogo vivo e accogliente per giovani e nuovi abitanti, alimenta la volontà di difendere la valle dai rischi di trasformazioni ambientali che la minacciano. Gloria Stedile, tra le fondatrici dell’associazione giovanile Rebut ne sottolinea la centralità anche per il mondo delle associazioni: «Rebut è nata per promuovere la valle e la socialità tra i giovani, partendo dai suoi elementi identitari, come i muretti a secco e il grano saraceno, simboli della storia e di nuovi inizi. Oggi vogliamo stimolare l’apertura di nuovi dialoghi e collaborazioni, generando sguardi e pensieri inediti». Rachele Zabelli, classe 1997, è al secondo mandato come vicesindaco di Terragnolo, comune che conta poco più di 700 abitanti sparsi in 33 frazioni, ne riafferma l’importanza anche per l’amministrazione: «La presenza sul territorio di un Presidio Slow Food è un motore di comunità, capace di coniugare tutela del paesaggio, cultura del cibo e sviluppo sostenibile del territorio».  Nel 2023 il grano saraceno di Terragnolo è stato oggetto di uno studio dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, l’ateneo fondato da Slow Food, e inserito nell’Atlante delle filiere – Analisi e prospettive per il rilancio delle filiere marginali sul territorio nazionale. La ricerca ha evidenziato come il progetto vada ben oltre l’aspetto agricolo. In un territorio fragile, il lavoro dei “Saraceni” dimostra che il valore di una comunità non si misura in ettari o in rese, ma nella capacità di restare uniti attorno a un’idea di montagna viva, abitata e rivolta al futuro.

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