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"Il cibo è politica" presentazione con Fabio Ciconte


[Intervista pubblicata da ilT Quotidiano domenica 25 maggio, a cura d Andrea Tella e Tommaso Martini ]

Sarà Orto Aperto in Clarina, un luogo che parla di socialità, confronto e partecipazione, a ospitare lunedì 26 maggio alle 18 la presentazione del libro “Il cibo è politica” di Fabio Ciconte. L’autore dialogherà con Francesca Fiori e Andrea Tella, presidente di Slow Food Valle dell’Adige Alto Garda.

L’iniziativa è organizzata da Slow Food in collaborazione con Terra! e con una rete di realtà trentine: CSA Naturalmente in Trentino, la libreria due punti, Edera - Emporio di Comunità e Nutrire Trento. 

Nell’intervista a Fabio Ciconte, presidente di Terra!, alcuni dei temi che saranno affrontati lunedì.


Buon giorno Fabio. Sovranismo, antipolitica, disaffezione al voto, crisi dei corpi intermedi: sono questi i temi che spesso emergono quando si parla di politica oggi. In questo contesto, dire che “il cibo è politica” può davvero essere considerata una buona notizia?

È una buona notizia a patto di restituire dignità politica al cibo nei sistemi alimentari. In questi ultimi decenni lo abbiamo ridotto al solo consumo individuale, dimenticandoci che intorno al cibo si giocano interessi economici, finanziari, di grosse corporazioni, della politica e delle istituzioni. Per cui ridare un’accezione positiva al cibo è sicuramente una buona notizia. Questo è l’intento del libro.





Nel tuo libro emerge anche un altro elemento: La somma non fa il totale. Caricare, o meglio scaricare, le responsabilità di un cambiamento sul consumatore è sempre più un’illusione se non proprio un modo per sviare l’attenzione dal problema.

Abbiamo scaricato le responsabilità sulle spalle del consumatore e questo ha avuto due conseguenze. La prima: ci ha fatto dimenticare di guardare le responsabilità di sistema, che sono quelle prevalenti. In secondo luogo non si tiene conto che per molte persone essere consumatori è semplicemente impossibile. È stato il modo perfetto con cui il sistema economico ha sviato le proprie responsabilità. Dobbiamo iniziare a rialzare la testa, alzare lo sguardo e guardare altrove.


Ti riferisci al sistema economico ma per molti anni questo è stato l’approccio, in buona fede, anche di molte associazioni che individuavano il problema e a loro volta esaltavano la responsabilità individuale per affrontarlo?

Per anni buona parte dei mondi attenti a questi temi si è illusa di poter cambiare lo stato delle cose esclusivamente con l’azione individuale, tutti abbiamo puntato su quello. È certamente un’azione importante ma a patto che faccia parte di un’azione che è anche collettiva, associativa. È stato un errore di fondo dimenticarsi del contesto generale. Abbiamo sovra interpretato il ragionamento del “voto con il portafoglio”. Da solo non basta, ha bisogno di partecipazione alla vita politica e sociale delle comunità. C’è stato un errore sostanziale da parte di mondi associativi, politici e culturali. Questo ha a che fare con il fatto che dopo il G8 di Genova è finita una fase di partecipazione che non ha più avuto la capacità di rinvigorirsi. Oggi siamo in un momento in cui invece ciò è possibile.


Allo stesso tempo non va abbassata la guardia da parte di ciascuno di noi. Nel libro parli di un altro cambio di paradigma fondamentale: basta considerarsi e essere considerati dei consumatori. Ricordi le parole di Papa Francesco “Abbiamo abiurato il nome di uomini per assumerne un altro: consumatori”.

Da anni come associazione Terra! abbiamo sviluppato un dibattito su questo. Ormai definiamo noi stessi, come categoria sociale, come consumatori. Quando si parla di cibo si parla di consumatori ed è uno dei problemi centrali. Smettere di definirci come consumatori, considerarci invece cittadini, individui che fanno parte di una comunità è il primo passo che permette di fare consumi consapevoli. Se tornassimo cittadini ci renderemmo conto che una delle prime cose da fare è andare a votare. Andare a votare, ad esempio, al referendum dell’8 e 9 giugno che è un’occasione per restituire legittimità all’azione collettiva. Ricordandosi a proposito de referendum, che non tutti possono considerarsi cittadini, poiché non tutti hanno la cittadinanza.


Quali sono gli strumenti per porsi come cittadini e non come consumatori? Slow Food si batte per l’Educazione alimentare obbligatoria nelle scuole, può essere una delle vie?

Credo che innanzitutto dobbiamo reimparare a partecipare. Lo si puo fare in tanti contesti: associazioni, partiti, comitati locali. È necessario fare battaglie di vario tipo e su varie questioni, oggi sono sempre piu intrecciate. Abbiamo un dovere di cittadinanza attiva cruciale. È sostanzialmente irrilevante la modalità, quello che è rilevante è tornare a partecipare, farlo trovando forme nuove e mettendo insieme più battaglie.  


Si apre un problema di giustizia, di accessibilità al cibo e di impoverimento alimentare. Questo è un grande tema per tutte le associazioni che come Slow Food si occupano di cibo, buono, pulito e giusto. Come conciliare un cibo che, come scrivi nel libro, costa troppo e allo stesso tempo troppo poco?

Oggi è così. Il cibo sostenibile, buono è appannaggio solo di un pezzo della popolazione. Il resto non può permetterselo e deve approvvigionarsi dove il cibo costa sempre di meno. Il problema non è chi fa questa scelta obbligata, ma le condizioni in cui le persone sono poste.  Per questo siamo convinti che la prima battaglia ecologistica è quella dei salari. Le persone devono essere messe nelle condizioni di avere un salario dignitoso, un sistema di vita dignitoso con dei tempi dignitosi. Proprio per questo oggi le battaglie vanno intersecate.


Cosa chiediamo quindi alla politica?

Deve concentrarsi sui modelli produttivi. Ad esempio è cruciale dove andranno i soldi della prossima PAC. Non è una decisione che determiniamo noi con il consumo critico.  Lo determina la politica se, come avviene ora, le risorse sono destinate alle grandi aziende o alle piccole, a un uso massiccio di pesticidi e serre o alternative. Un'altra battaglia è quella di provare ad aprire un dibattito pubblico sugli allevamenti intensivi, interrogandosi sul modello di zootecnia di questo paese. Non è pensabile che esistano nel mondo 75 miliardi di animali allevati in modo intensivo per darci carne a basso costo e di bassa qualità. Questo è il motivo per cui come Terra!, con altre realtà associative,  chiediamo una moratoria all’apertura di nuovi allevamenti intensivi e all’aumento del numero di animali allevati in quelli già esistenti.


Il cibo è politica ma il cibo è anche geopolitica, trasformato in uno strumento di guerra. Da cittadini non possiamo prescindere nemmeno da questa constatazione.

Noi siamo molto preoccupati rispetto a quello che sta succedendo in tutti gli scenari di conflitto globale. A Gaza è in atto un genocidio e una carestia. Persone affamate che sotto gli occhi di tutti non ricevono aiuti alimentari. Ignobile per chi la sta facendo e per chi la sta osservando in silenzio.

 

 
 
 

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