Ponti Meticci: storie, identità e dialoghi che uniscono le culture
- SlowFoodAltoAdigeSüdtirol
- 2 giorni fa
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Intervista di Anzhela Filatova per "Tavole migranti. Storie di cibo in movimento"

“Ponti Meticci” è un progetto nato con l’obiettivo di costruire un ponte autentico tra l’Italia e il continente africano attraverso il racconto, l’incontro e l’ascolto che conoscono l’Africa nella sua autenticità, affrontando temi come il colonialismo, le origini e le identità.
Gli incontri organizzati ruotano attorno ai temi legati alle identità meticce e multiculturali che caratterizzano sempre più le società contemporanee, offrendo uno spazio sicuro in cui condividere esperienze, radici e nuove forme di appartenenza.
L’iniziativa è nata dall’interesse di Ibrahim Songne, originario del Burkina Faso, arrivato in Italia in cerca di un futuro migliore unito al sogno profondo, di creare un progetto capace di sostenere i bambini del suo Paese e i generare connessioni autentiche tra culture diverse.
Accanto a lui c’è Jenny Koyate, psicologa del lavoro, clinica e docente. Nata in Trentino da madre italiana e padre ivoriano, conosce sulla propria pelle la complessità di una doppia identità che non sapeva ancora comprendere. Da adulta ha intrapreso un percorso di riscoperta delle proprie origini, interrogandosi sul significato dell’identità e sul valore delle radici.
Insieme, Ibrahim e Jenny avviano un progetto che costruisce dialogo autentico tra culture e dà voce a chi vive, nella quotidianità, la complessità e il valore dell’interculturalità.
A: La tua esperienza di immigrazione ha influito sulla nascita della tua attività e dell’associazione?
Ibrahim: Per me ha avuto un significato molto profondo. L’esperienza dell’immigrazione nasce spesso da una mancanza di mezzi, di opportunità e dalla speranza di raggiungere un luogo che si immagina come un “paradiso”. Per molti, quel luogo è l’Italia. All’inizio anch’io avevo questa visione idealizzata, ma mi sbagliavo. In parte, l’illusione nasce da ciò che vediamo quando alcuni connazionali tornano nel paese d’origine: arrivano con abiti firmati, gioielli d’oro, l’immagine del successo. Da lontano non si percepisce la realtà quotidiana, le difficoltà, la fatica. Così tanti decidono di partire, affrontando viaggi pericolosi, convinti di trovare una vita migliore.
Quando sono arrivato, ho capito che la realtà era diversa. In Burkina Faso non mi ero mai sentito “sbagliato”: mi sentivo a mio agio, persino orgoglioso di chi ero. Qui, invece, ho percepito gli sguardi diffidenti, la distanza, la paura di avvicinarsi. È lì che sono arrivate le prime delusioni. Ti senti in difetto anche se non hai fatto nulla, anche se sei semplicemente te stesso. Col tempo, però, ho imparato ad accettarmi, a riconoscere il mio valore e il coraggio che ho avuto nell’affrontare tutto questo. Oggi so chi sono e dove voglio arrivare. Voglio che i miei figli non debbano mai vivere le stesse difficoltà, e per questo cerco di diffondere un messaggio di consapevolezza e rispetto reciproco. L’integrazione non può essere solo una parola: deve essere un percorso reale, fatto di conoscenza, dialogo e comprensione.
A: In che cosa consiste il progetto “Ponti Meticci”?
Ibrahim: Uno degli aspetti più importanti del progetto è quello di offrire un’ immagine coerente e reale dell’Africa. Spesso, nei media, il continente viene raccontato solo attraverso stereotipi o problemi. Noi vogliamo mostrare la sua vera dimensione: un territorio vastissimo — più grande dell’Europa — con 54 Paesi, ciascuno ricco di cultura, lingue, colori e tradizioni. Attraverso “Ponti Meticci” diamo spazio a chi desidera raccontare la propria storia, sia di chi è arrivato in Italia, sia di chi — al contrario — ha scelto di trasferirsi in Africa. Anche queste esperienze di “migrazione al contrario” sono fondamentali, perché ci aiutano a capire che lo scambio culturale è sempre a doppio senso.
Jenny: “Ponti Meticci” è nato il 23 luglio 2023, e nel corso del 2024 abbiamo realizzato sei puntate di incontri pubblici e interviste. Successivamente ci siamo fermati per lavorare sulla fondazione ufficiale dell’associazione, curando gli aspetti burocratici e organizzativi. Dal gennaio 2026, ripartiremo con un nuovo ciclo di puntate, con una cadenza bimestrale. Siamo stati fortunati perché Ibrahim ha una grande capacità di creare relazioni e connessioni: molte aziende e privati hanno deciso di sostenerci, permettendoci di autofinanziare il progetto, che non riceve fondi strutturali. In Trentino abbiamo trovato un pubblico curioso e sensibile, pronto a riconoscere il valore di iniziative come la nostra. L’obiettivo, però, non è limitarsi a una singola area geografica: vogliamo creare un mosaico di culture, un racconto collettivo che unisca esperienze diverse, dal locale all’internazionale.
A: Quali sono gli obiettivi principali del progetto?
Jenny: Il progetto si basa sull’idea di costruire tre “ponti” simbolici, che danno anche il nome alla nostra associazione.
Il primo ponte è quello tra l’Italia e il continente africano. Spesso si parla genericamente di “Africa”, parliamo di 54 Stati, ciascuno con la propria storia, lingua e identità. Il nostro obiettivo è proprio quello di dare voce alle singole culture, raccontando le specificità e le ricchezze di ogni Paese. Lo facciamo attraverso interviste, eventi e incontri pubblici, che permettono di conoscere più da vicino le persone e le loro esperienze.
Il secondo ponte riguarda la promozione culturale e artistica. Invitiamo spesso scrittori, musicisti, sportivi o altre figure pubbliche con radici africane per condividere testimonianze autentiche e stimolare un dialogo reale tra culture. L’arte, in questo senso, diventa uno strumento potentissimo di connessione e di consapevolezza.
Infine, il terzo ponte è quello sociale e professionale. Stiamo sviluppando progetti mirati ad aiutare i giovani di origine straniera a trovare lavoro e a inserirsi nel mondo professionale. Un esempio concreto è l’azienda Ibris, fondata da Ibrahim, dove lavorano diversi ragazzi e ragazze con background migratorio: una realtà che dimostra come l’integrazione possa essere anche una forma di crescita condivisa.
A: Quale è la vostra visione a lungo termine per il progetto?
Jenny: “Ponti Meticci” è un format, anche, multimediale, ma vorrei tanto ampliare la diffusione e la visibilità dei contenuti. L’idea è quella di portarlo sui social o su una rete televisiva locale o nazionale, così che anche chi non può partecipare agli eventi in presenza possa seguirli o rivederli. Negli ultimi sei eventi abbiamo raggiunto un pubblico di 50-100 persone in sala, un risultato che ci ha sorpresi e motivati. Il passo successivo sarà ampliare la nostra comunità di ascolto, coinvolgere sempre più persone e creare momenti di incontro anche all’aperto, in spazi aperti alla cittadinanza. L’obiettivo è far sì che Ponti Meticci non resti solo un progetto locale, ma diventi un punto di riferimento per il dialogo interculturale, capace di ispirare altre realtà in tutta Italia.
Ibrahim: Condivido pienamente. Abbiamo già raggiunto risultati che non ci aspettavamo, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione del pubblico. Ma il traguardo più importante non è nei numeri: è nel messaggio che vogliamo trasmettere. Il nostro obiettivo è quello di coinvolgere non solo il Trentino, ma anche chi vive altrove, facendo capire che la vera ricchezza non sta nel denaro o nel successo, ma nell’uguaglianza delle opportunità. Solo quando tutti avremo gli stessi mezzi e le stesse possibilità — indipendentemente da origine, colore della pelle o percorso di vita — potremo dire di essere davvero una comunità ricca. Ed è questo, in fondo, il cuore di Ponti Meticci: costruire ponti che uniscono più culture e persone possibili.






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