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La rinascita della castanicoltura



Grazie a il T quotidiano ogni due settimane, Slow Food Trentino cura a partire dal 14 febbraio 2025 una rubrica sulla pagina Terra Madre. Questo articolo è stato pubblicato sabato 11 ottobre 2025.

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Le reti tematiche rappresentano il patrimonio più prezioso che Slow Food è in grado di attivare. Comunità che abitano territori lontani, spesso riconducibili a quelle che sono definite aree interne, si tengono in costante dialogo per condividere percorsi e visioni, unendo le forze per proteggere le filiere più fragili, quelle più esposte al rischio di scomparire sotto la pressione di logiche economiche e ambientali omologanti.

Queste reti raccolgono una ricchezza viva di biodiversità, cura dei territori, saperi materiali e immateriali. Ricchezza oggi erosa da modelli produttivi che sacrificano le risorse di tutti per il profitto di pochi. Sono realtà moderne e lungimiranti, che si ispirano ai valori necessari per costruire il futuro della filiera alimentare: il contrasto alle monoculture, l’attenzione all’agroecologia, la riscoperta di sapori, l’attivazione di saperi, la ricerca del minor impatto ambientale. Non da ultimo, incarnano la volontà di individuare una sostenibilità economica capace di offrire prospettive alle nuove generazioni. 

Nel tempo, queste reti hanno preso forma in diversi ambiti: Slow Grains per i grani antichi, Slow Rice per la biodiversità del riso, Slow Beans per i legumi e la transizione proteica, Slow Mais per i mais locali a impollinazione libera.

 

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La rete dei Castanicoltori, presentata ufficialmente a Terra Madre 2022, raggruppa oggi quasi cento produttori in dieci regioni italiane. La sua portavoce è Rosaria Olevano che abbiamo intervistato.



La castanicoltura sta attraversando una fase complessa. Quale risposta cerca di dare la Rete dei Castanicoltori di Slow Food?

Negli ultimi decenni la castanicoltura ha conosciuto un grave periodo di difficoltà, legato all’abbandono delle aree montane e in anni più recenti dalla diffusione del Cinipide galligeno del castagno, l’insetto asiatico contro il quale si sta combattendo una complessa lotta biologica. Questa crisi, tuttavia, ha innescato una reazione positiva: la nascita di un nuovo interesse da parte di produttori legati alla castanicoltura tradizionale, che non intendono riproporre il castagno come un retaggio del passato, ma come una risorsa per il futuro. Testimonianza importante dell’opera dell’uomo, i castagneti da frutto, infatti, consentono il presidio del territorio, il contenimento del dissesto idrogeologico, la prevenzione degli incendi boschivi, garantiscono diversità paesaggistica, biologica, varietale ed ecosistemica, e assicurano la cattura e il sequestro di CO2. La castanicoltura tradizionale può dare una concreta prospettiva di vita a chi sceglie questo mestiere.


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Il manifesto fondativo della Rete dei Castanicoltori individua obiettivi molto concreti. Quali sono i principi e le azioni che guidano questo percorso di rigenerazione?

Il punto di partenza è il riconoscimento del castagneto come sistema agro-silvo-pastorale complesso, non solo come luogo di produzione. Ciò significa promuovere la ripresa della coltivazione e della filiera tradizionale dei castagneti, anche attraverso una semplificazione normativa per l’avvio di nuovi impianti, il recupero di vecchi frutteti e l’utilizzo di impianti tradizionali. Un’altra priorità è la tutela e la diffusione delle varietà locali e delle tecniche tradizionali di coltivazione, ad esempio, è strategico continuare ad innestare rinnovando il castagneto. È fondamentale salvaguardare i castagneti storici e gli alberi secolari, veri e propri alberi monumentali, adottando una gestione sostenibile dei castagneti, che eviti l’uso della chimica di sintesi e lavorazioni invasive del terreno, e che preveda, ad esempio, l’inerbimento naturale sotto gli alberi. Siamo convinti che la rigenerazione delle Terre Alte passi anche da qui: dalla promozione e dall’incremento della castanicoltura tradizionale, capace di tenere insieme economia, ambiente e cultura.


A queste attività sul lato produttivo si unisce un costante lavoro di formazione, a chi si rivolge e con quali prospettive?

È necessaria un’educazione al gusto, per riuscire a riconoscere la qualità dei frutti della castanicoltura tradizionale rispetto, ad esempio, alle produzioni di pianura. Il castagno predilige generalmente il clima collinare e montano, tra i 600 e i 900 metri, dove è stato selezionato e accompagnato dall’uomo in secoli di coevoluzione. È necessario rafforzare la consapevolezza del valore ambientale, sociale ed economico che la castanicoltura rappresenta per le comunità. Allo stesso tempo è importante innovare gli usi gastronomici, coinvolgendo cuochi e panificatori in percorsi di conoscenza e sperimentazione che li aiutino a comprendere meglio le caratteristiche della farina di castagna e le sue potenzialità in cucina. Proprio la produzione di farina rappresenta una pratica chiave: permette di conservare la materia prima tutto l’anno, di valorizzarne gli impieghi e di garantire una maggiore sostenibilità economica alla castanicoltura tradizionale. Anche i produttori sono chiamati a individuare nuovi modelli e paradigmi: in questo la rete ha un ruolo fondamentale di confronto di esperienze e visioni.


La castanicoltura, quindi, come Laboratorio di futuro. Ci puoi fare qualche esempio di realtà che hanno saputo unire il rispetto per il territorio, il paesaggio e la biodiversità con le esigenze più moderne?

Scegliere la castanicoltura tradizionale significa lavorare in montagna, in contesti dove limitarsi alla sola produzione può essere rischioso e non sempre garantisce la giusta redditività. Per questo, molte realtà stanno reinterpretando il castagneto come luogo vivo, capace di generare nuove economie e nuove relazioni. Nel Reventino, in Calabria, Maria Antonietta Mascaro organizza le passeggiate didattiche nei castagneti. Marco Bozzolo, di Viola Castello nelle Alpi Liguri, ha restaurato un essiccatoio abbandonato risalente all’Ottocento, trasformandolo in una piccola struttura ricettiva. Gli ospiti che dal 2018 si sono susseguiti per vivere le esperienze nel castagneto, racconta fieramente Marco, hanno parlato più di cinquanta lingue diverse. Fabio Bertolucci ha invece riattivato un forno per ridare vita alla Marocca di Casola, un pane tradizionale della Lunigiana a base di farina di castagne. Queste esperienze, e molte altre di ispirazione nella nostra rete, mostrano come la castanicoltura possa essere davvero un modello multifunzionale, capace di tenere insieme tutela del paesaggio, innovazione e comunità. In questa visione rientra anche la necessità di controllare l’intera filiera produttiva: dalla gestione del castagneto alla trasformazione, fino alla vendita diretta e alla creazione di nuovi prodotti come birre e biscotti.

 
 
 

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@ 2025 Slow Food Trentino Alto Adige Südtirol

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