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Shirin Persia: un ponte tra l’Iran e l’Italia

Intervista di Anzhela Filatova per "Tavole migranti. Storie di cibo in movimento"


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Shirin Persia è un progetto nato dal percorso personale e professionale di Ala Azadkia, ingegnera gestionale iraniana formatasi all’Università di Parma. Durante la tesi Ala ha scoperto il mondo del commercio equo e solidale, scegliendo di dedicarsi allo zafferano iraniano, un prodotto simbolo della sua terra e spesso poco conosciuto nella sua autenticità.

Il progetto cresce come un ponte tra Iran e Italia, intrecciando storie, persone e sapori attraverso collaborazioni spontanee con artigiani e produttori locali — dal formaggio Casolet alla birra artigianale, dal panettone al liquore allo zafferano.

Shirin Persia non vende solo prodotti, ma racconta un sogno di rispetto, fratellanza e consapevolezza, dove ogni acquisto diventa gesto di relazione e scambio.

Attraverso i social e le reti del movimento Slow Food, Ala costruisce una comunità di co-produttori e viaggiatori responsabili che condividono valori di sostenibilità, giustizia e autenticità. Più che un marchio, Shirin Persia è un viaggio umano e culturale che trasforma lo zafferano in simbolo di dialogo tra popoli e di rinascita attraverso la cooperazione.


A: In che modo la tua esperienza personale di immigrazione ha influenzato questo progetto?

ALA: La mia esperienza di immigrazione ha avuto un’influenza profonda su Shirin Persia. Dire “sono iraniana” suscita spesso reazioni immediate, talvolta inconsapevoli, legate a stereotipi culturali.

È il risultato di anni di propaganda e rappresentazioni unilaterali del mio Paese. Tuttavia, per me l’Iran resta una parte imprescindibile della mia identità e con Shirin Persia cerco di restituire un’immagine autentica del mio Paese. Chi acquista i nostri prodotti lo fa per la loro qualità e per la forza delle persone che li realizzano. Le donne con cui collaboro non sono vittime, ma protagoniste del proprio destino. Il mio obiettivo è mostrare un Iran reale, complesso, vitale, ben oltre i cliché del velo o della repressione.

A: Perché è importante distinguere l’Iran dalla Repubblica Islamica?

ALA: È fondamentale distinguere tra Iran e Repubblica Islamica dell’Iran. L’Iran è una civiltà millenaria, con una ricchissima eredità culturale, artistica e spirituale; la Repubblica Islamica, invece, è un sistema politico e ideologico, che governa il Paese con una visione teocratica e autoritaria.

Dopo le manifestazioni del 2022, costate la vita a migliaia di giovani, una parte dell’opinione pubblica internazionale ha iniziato a riconoscere la differenza tra la popolazione iraniana e il regime che la opprime. È un passaggio essenziale per superare i pregiudizi che per decenni hanno associato l’Iran al terrorismo o al fanatismo.

Quella narrazione serve ancora oggi a giustificare interessi geopolitici ed economici, ma offusca la realtà di un popolo colto, creativo e assetato di libertà. Riconoscere questa distinzione significa restituire voce e dignità agli iraniani.

A: Come è cambiata la percezione sociale del lavoro femminile in Iran?

ALA: Negli ultimi decenni, la percezione del lavoro femminile in Iran ha subito un’evoluzione significativa, spesso silenziosa ma profonda. Un esempio emblematico è la cooperativa Gojino, nata circa dieci anni fa in un piccolo villaggio del deserto di Kerman. Un gruppo di cinque donne, con il supporto di una facilitatrice di Teheran, ha deciso di organizzarsi per vendere direttamente i propri prodotti e migliorare la posizione sociale delle donne agli occhi degli uomini.

All’inizio gli uomini faticavano a comprendere il senso di un impegno collettivo femminile al di fuori delle mura domestiche. Con il tempo, però, la forza economica e organizzativa delle donne ha portato benefici concreti all’intera comunità, ad esempio il finanziamento degli interventi per salvare l’acquedotto locale, risorsa vitale per il villaggio. Il momento simbolico della trasformazione è arrivato quando gli uomini hanno iniziato a consultare le donne nelle decisioni comunitarie.

A: Come è cambiata la produzione dello zafferano con la variazione del clima?

ALA: Il cambiamento climatico sta incidendo in modo drammatico sulla produzione di zafferano in Iran. La scarsità di piogge e l’esaurimento delle falde acquifere hanno prosciugato fino al 90% degli acquedotti locali, costringendo i contadini ad acquistare acqua e trasportarla con camion cisterna, con costi altissimi. Parallelamente, l’aumento delle temperature ha alterato il ciclo naturale della fioritura: un tempo i bulbi fiorivano a metà novembre, mentre oggi i cambiamenti climatici rendono imprevedibili i tempi di raccolta.

A queste difficoltà ambientali si aggiungono problemi economici: negli ultimi anni, la sovrapproduzione e le sanzioni internazionali hanno fatto crollare i prezzi, penalizzando i piccoli produttori. Una possibile via d’uscita è puntare sulla qualità più che sulla quantità, diversificando le attività attraverso esperienze di “turismo dello zafferano” e la creazione di prodotti artigianali complementari, come sacchetti ricamati o manufatti legati al fiore dello zafferano.

In questo modo, la produzione torna a essere non solo un’attività economica, ma anche culturale e sociale: un modo per preservare la memoria della terra e la dignità di chi la lavora.

A: Come influisce la situazione di repressione interna sulla vita quotidiana e sul turismo?

ALA: Pesa moltissimo. Oggi l’Iran accoglie soprattutto viaggiatori europei molto esperti o avventurosi, attratti dal suo immenso patrimonio culturale ma consapevoli dei rischi legati alla situazione politica e alla limitata libertà personale. Se l’Iran potesse liberarsi dalle attuali restrizioni ideologiche, il turismo potrebbe diventare una risorsa sufficiente a sostituire il petrolio: un’economia fondata sulla cultura, sulla bellezza e sull’ospitalità. Tuttavia, il clima di controllo e repressione resta molto forte. Io stessa, durante un viaggio nel maggio 2024, sono stata arrestata per non aver indossato il velo, come molte altre donne. È stato un episodio che mi ha fatto capire quanto, oggi, sia impossibile garantire la sicurezza dei viaggiatori e quanto sia eticamente difficile promuovere viaggi “Alla scoperta dello zafferano” di un gruppo in Iran.

A: Come vedi il progetto Shirin Persia nel futuro?

ALA: Oggi è difficile immaginare il futuro di Shirin Persia, soprattutto alla luce della situazione politica ed economica dell’Iran. Ho vissuto 27 anni nel mio Paese e da undici in Italia, ma negli ultimi tempi la condizione interna dell’Iran è peggiorata. La Repubblica Islamica vive di una tensione costante: persino la connessione Internet è soggetta a controllo, e non so mai se domani riuscirò a comunicare con le donne con cui collaboro.

A questo si aggiungono ostacoli bancari e logistici dovuti alle sanzioni internazionali, che complicano ogni attività economica. Sono riuscita ad aprire un conto in Banca Etica, ma non è scontato che la situazione resti stabile. Eppure, nonostante tutto, continuo a credere che il progetto abbia senso proprio perché esiste tra due mondi: è un modo per tenere viva la relazione e la speranza, anche a distanza.

A: Ci torneresti a vivere? 

ALA: Sì, io tornerei volentieri in Iran, ma con la situazione attuale sento di poter essere più creativa e più utile al mio Paese stando qui. L’Iran offre tantissimo e, forse, un giorno ci tornerò a vivere, magari quando avrò un’altra età e un’altra stabilità. Ma oggi posso contribuire molto di più da fuori. Dall’Iran posso ricevere profondamente, soprattutto dal punto di vista umano: ogni volta che torno imparo qualcosa, torno diversa. Ma allo stesso tempo posso anche dare. Il lavoro che sto portando avanti con Slow Food, tutte le collaborazioni e i progetti che costruiamo, non sono merito solo mio: io sono semplicemente un ponte. Un tramite che permette uno scambio reciproco. Questo è ciò che conta per me: dare e ricevere allo stesso tempo. Umanamente, l’Iran continua a nutrirmi; professionalmente, invece, stando qui posso offrire metodo, idee, disciplina, un certo ritmo di lavoro. In questo senso sento di poter essere davvero utile, pur restando a distanza.



 
 
 

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