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Nuovi ingressi nell'Arca del gusto

Articolo tratto da Slowzine n. 5- dicembre 2020


L’Arca del gusto è un catalogo che segnala razze animali, varietà di frutta, verdura, formaggi, pani, dolci, salumi, ne porta alla luce l’esistenza e denuncia il rischio che possano scomparire, contribuendo all’impoverimento della biodiversità e dei saperi agricoli tradizionali.

La biodiversità agroalimentare e l’agricoltura familiare di piccola scala sono in pericolo infatti in tutto il mondo a causa dell’industrializzazione dell’agricoltura, dell’erosione genetica, della trasformazione degli stili alimentari, dei cambiamenti climatici, dell’abbandono delle aree rurali, delle migrazioni e dei conflitti. L’Arca invita tutti a fare qualcosa: a volte serve riscoprire questi prodotti e riportarli sulle tavole, a volte serve raccontarli e sostenere i produttori; in alcuni casi – quando i prodotti sono specie selvatiche a grave rischio di estinzione – è meglio mangiarne meno o non mangiarli affatto, per tutelarli e favorirne la riproduzione.

La Condotta Slow Food Valle dell’Adige Alto Garda ha segnalato in queste settimane due prodotti molto diversi e interessanti: la ricetta delle molche del Garda e il vitigno Casetta.





L’attività di ricerca necessaria a segnalare questi prodotti nel catalogo online dell’Arca del Gusto è stata finanziata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Direzione Generale del Terzo Settore e della Responsabilità Sociale delle Imprese – avviso n° 1/2018 “Slow Food in azione: le comunità protagoniste del cambiamento”, ai sensi dell’articolo 72 del codice del Terzo Settore, di cui al decreto legislativo n 117/2017.


Le molche del Garda


Con il termine molche nel dialetto trentino si indica il residuo solido, composto dalla buccia e dalla polpa delle olive, che si ottiene dalla spremitura durante la produzione dell’olio extravergine.



Testimonianza della necessità del mondo contadino di non buttare via nulla e ricavare il massimo da ogni risorsa, le molche erano tradizionalmente prodotte con gli scarti del frantoio. Il risultato era un prodotto dal sapore molto amaro, astringente, che doveva essere precotto in olio prima di essere congelato per la conservazione. A causa del loro sapore deciso, le molche erano utilizzate quasi esclusivamente per la panificazione, e dunque consumate solo una volta impastate con acqua e farina, con l’aggiunta di zucchero, uvetta e altri ingredienti per addolcirne il sapore: Il pane di molche, o pam de molche, è ancora oggi uno dei prodotti tradizionali più noti nella zona dell’Alto Garda Trentino, tanto che il poeta Giacomo Floriani lo ricorda in una sua poesia “’Na pèstola de ‘n levro” “…Ma té déva, ’n toc de pam de molche,…”.


Oggi le molche tradizionali sono considerate scarto di produzione, quel sottoprodotto del processo di estrazione dell’olio d’oliva conosciuto come sansa.


Questa pasta grezza di olive continua ad essere prodotta partendo dal frutto intero. Le olive sono raccolte a mano a piena maturazione, quando il frutto è violaceo e più dolce. Dopo la raccolta, sono immerse in una salamoia blanda per 8/16 settimane al fine di ridurre ulteriormente le note di amaro ed esaltare il gusto del frutto. Questa tecnica permette di deamarizzare le olive evitando al contempo, grazie alla presenza del sale, l’ossidazione o l’irrancidimento del composto. Le olive sono infine denocciolate, ridotte in pasta, e trasferite in vasetti di vetro con l’aggiunta di olio extravergine in quantità variabile, tra il 15 e il 25%.


Il prodotto ottenuto è identico alle molche originali per composizione (polpa e buccia) ma il sapore è decisamente più delicato e gradevole.


Oggi, le molche sono disponibili in quantità limitate, spesso confuse con i più comuni patè o tapenade. A differenza di questi ultimi, le molche si fanno solo con olive e olio extra vergine seguendo un procedimento ben preciso, e sono espressione di un sapere contadino che merita di essere conservato.



Vitigno casetta


L’uva casetta si coltiva tradizionalmente nelle zone collinari della Val Lagarina. Ad oggi, possiamo trovare alcuni piccoli vigneti nei comuni di Ala in Trentino e Dolcé in provincia di Verona.




Questo vitigno deriva dalla domesticazione della Vitis vinifera silvestris, varietà d’uva selvatica nata da un incrocio spontaneo. Questa varietà a bacca rossa è nota anche col nome di lambrusco a foglia tonda ma nulla ha in comune con le grandi famiglie di uve Lambrusco.

Il suo aspetto è caratterizzato da una foglia tonda da qui anche il nome dialettale foja tonda; il grappolo è conico e di dimensioni medie, con acino medio-grande, mentre la buccia è di norma sottile, di colore scuro, quasi un blu-nero, abbastanza resistente ai freddi sebbene molto sensibile alle gelate invernali. Si adatta bene a terreni calcarei e collinari con una buona esposizione e ventilazione, ad altezze che non superino i quattrocento metri di altitudine.


Il casetta ha ceppi particolarmente longevi, per questo non è raro trovare piante produttive risalenti a 70 anni fa. Infatti, fino agli anni Cinquanta, il vitigno era tra i più coltivati nei comuni trentini di Ala e Mori; in seguito è stato in gran parte abbandonato sia per ragioni commerciali sia per la sua vulnerabilità alla muffa grigia (Botrytis cinerea). Oggi questa varietà è presente su piccole superfici, in vigneti risalenti a quell’epoca, lungo tutta la Vallagarina ed in provincia di Verona. Si ritiene che il nome casetta derivi dall’antico soprannome di una famiglia della frazione di Marani che coltivava quest’uva.


Alla vendemmia di fine settembre, segue la classica vinificazione in rosso e l’invecchiamento in bottiglia per almeno un anno.


L’uva casetta presenta un potenziale qualitativo molto interessante con caratteristiche organolettiche intense e fini e connotate da note fruttate e speziate. Come vino, il Casetta alla vista si presenta dal colore rosso rubino intenso. Al naso presenta note fruttate di prugna matura e mora, un sottofondo lievemente vegetale e una nota speziata di pepe nero nel finale. Al palato è strutturato, giustamente tannico, abbastanza morbido e persistente. Nelle tradizioni locali è da sempre considerato vino da invecchiamento da servire nelle grandi occasioni di festa. Si abbina alla selvaggina, alla carne rossa, ai formaggi e a piatti importanti.


A causa della scarsa reperibilità in commercio di barbatelle innestate il casetta viene ancor oggi riprodotto per ramificazione, interrando un tralcio di una vite vicina. In passato è stato radiato dall’elenco dei vitigni autorizzati a causa della sua particolare sensibilità a malattie fungine. Negli ultimi anni, grazie al ritrovato interesse per questo vitigno, la varietà è stata reintrodotta tra quelle ammesse alla coltivazione. Nel 2006 è stata premiata con il riconoscimento della Valdadige Terra dei Forti DOC, da cui si possono produrre alcune tipologie di vino a denominazione di origine con uve casetta in purezza.



Nella foto il vigneto Majere dove l’azienda agricola Cadalora di Santa Margherita di Ala coltiva viti di oltre settant’anni che danno vita all’uva Casetta e al vino Majere Casetta Vallagarina IGT.

Il Casetta viene prodotto anche da Albino Armani di Dolcè (verona) che lo produce riportando in etichetta il nome Foja Tonda.


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